Frasi di Primo Levi sull’Olocausto per ricordare il passato

Frasi sull’Olocausto di Primo Levi: pensieri da Se questo è un uomo

Accade facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere sé stesso.

Avevamo deciso di trovarci, noi italiani, ogni domenica sera in un angolo del Lager; ma abbiamo subito smesso, perché era troppo triste contarci, e trovarci ogni volta più pochi, e più deformi, e più squallidi. Ed era così faticoso fare quei pochi passi: e poi, a ritrovarsi, accadeva di ricordare e di pensare, ed era meglio non farlo.

Guai a sognare: il momento di coscienza che accompagna il risveglio è la sofferenza più acuta. Ma non ci capita sovente, e non sono lunghi sogni: noi non siamo che bestie stanche.

La loro vita è breve ma il loro numero sterminato; sono loro, i Musulmänner, i sommersi, il nerbo del campo; loro, la massa anonima, continuamente rinnovata e sempre identica, dei non-uomini che marciano e faticano in silenzio, spenta in loro la scintilla divina, già troppo vuoti per soffrire veramente. Si esita a chiamarli vivi: si esita a chiamar morte la loro morte, davanti a cui essi non temono perché sono troppo stanchi per comprenderla.

Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario.

Olocausto, frasi di Primo Levi dal Sistema periodico: riflessioni e pensieri toccanti

Ammettevo che non tutti nascono eroi, e che un mondo in cui tutti fossero come lui, cioè onesti ed inermi, sarebbe tollerabile, ma questo è un mondo irreale. Nel mondo reale gli armati esistono, costruiscono Auschwitz, e gli onesti ed inermi spianano loro la strada; perciò di Auschwitz deve rispondere ogni tedesco, anzi, ogni uomo, e dopo Auschwitz non è più lecito essere inermi.

Era proprio buio sempre, il bagliore non si vedeva, si picchiava il capo più e più volte contro il soffitto sempre più basso, e si finiva coll’uscire dalla grotta carponi e a ritroso, un po’ più vecchi di quando ci si era entrati.

Le grane, tu lo saprai, non vengono al galoppo, come gli Unni, ma zitte, di soppiatto, come le epidemie.

Mi dichiaravo pronto a perdonare i nemici, e magari anche ad amarli, ma solo quando mostrino segni certi di pentimento, e cioè quando cessino di essere nemici. Nel caso contrario, del nemico che resta tale, che persevera nella sua volontà di creare sofferenza, è certo che non lo si deve perdonare: si può cercare di recuperarlo, si può (si deve!) discutere con lui, ma è nostro dovere giudicarlo, non perdonarlo.

Ti danno l’impressione di combattere un’interminabile guerra contro un esercito avversario ottuso e tardo, ma tremendo per numero e peso; di perdere tutte le battaglie, una dopo l’altra, un anno dopo l’altro; e ti devi accontentare, per medicare il tuo orgoglio contuso, di quelle poche occasioni in cui intravvedi una smagliatura nello schieramento nemico, ti ci avventi, e metti a segno un rapido singolo colpo.

Riflessioni di Primo Levi sulla Shoah: le altre opere dello scrittore

Auschwitz è fuori di noi, ma è intorno a noi, è nell’aria. La peste si è spenta, ma l’infezione serpeggia: sarebbe sciocco negarlo (L’asimmetria e la vita).

Le leggi razziali furono provvidenziali per me, ma anche per gli altri: costituirono la dimostrazione per assurdo della stupidità del fascismo (Echi di una voce perduta. Incontri, interviste e conversazioni con Primo Levi di Gabriella Poli e Giorgio Calcagno).

Non è mica un caso che quelli che hanno più fretta di fare il funerale sono proprio quelli che sentono più colpa (La chiave a stella).

Non salutavano, non sorridevano; apparivano oppressi, oltre che da pietà, da un confuso ritegno, che sigillava le loro bocche, e avvinceva i loro occhi allo scenario funereo (La tregua).

Quanto più è dura l’oppressione, tanto più è diffusa tra gli oppressi la disponibilità a collaborare con il potere (I sommersi e i salvati).